L’Asino Romagnolo oltre quota cinquecento

In concomitanza con la Rassegna Interprovinciale della Fiera Agricola del Santerno di Imola,
del 16 e 17 Giugno 2012, è stato tagliato un nuovo traguardo.

1. Lino Zerbini, con i figli Tommaso e Rebecca, riceve un premio da Giovanni Verlicchi,
esperto di Razza AIA, per la qualitativa morfologia dello stallone Romano

Dai settantasei capi che furono censiti in tutta la Regione, tra il 2002 ed il 2003, sulla base della aderenza a criteri morfologici predefiniti (animali tuttavia privi, com’è ovvio, di pedigree, ma poi studiati nel loro DNA, per confermarne l’appartenenza alla popolazione, cioè il loro “apparentamento”) siamo arrivati ai cinquecentocinquanta di oggi, formalmente iscritti al Registro Anagrafico, la gran parte con genitori noti. Dotati di passaporto internazionale, come fossero purosangue da corsa.

Lo ha comunicato il Dottor Gerardo Salza, in rappresentanza del Servizio Produzioni Animali dell’Assessorato Agricoltura dell’Emilia-Romagna.
Si procede, dunque, a grandi passi, verso il traguardo che farà considerare definitivamente scongiurato il rischio di estinzione.
La storia dell’Asino Romagnolo (meglio: la vicenda di cronaca minore) è ormai nota e si intreccia alla Grande Storia del Secolo Breve. A pochi mesi dalla fine del conflitto bellico, con una Delibera del 1945 il Ministero dell’Agricoltura prese atto della forte riduzione numerica di questa razza, e la decretò estinta. Fu una scelta, forse, un po’ sbrigativa, ma ben altri erano i problemi di allora, per andare troppo per il sottile. Anche se tra le razze italiane, il Romagnolo, era una delle  più pregiate, per la sua versatilità.
Il fatto è che l’esercito tedesco, durante i lunghi mesi della guerra 1943/1945, quando si era opposto accanitamente alla risalita degli alleati verso il nord, e soprattutto dopo lo sfondamento della Linea Gotica, aveva razziato e decimato questo asino, così come aveva fatto per le mucche ed i cavalli, vuoi per cibarsene, vuoi per trainare quanto era possibile nelle retrovie del fronte.
 Ma la stirpe del romagnolo dalle lunghe orecchie, seppure in misura ridotta, silenziosamente riuscì a sopravvivere. La collocazione in poderi inaccessibili sui crinali di collina, specie di quella forlivese, e la secolare tradizione familiare, costituì una sorta di “nicchia biologica inespugnabile”.
Poi una rivoluzione, questa volta economico-sociale, lo mise nuovamente a dura prova. La meccanizzazione legata al boom economico degli anni sessanta. In campagna, il trattore sostituì gli animali sia da traino pesante (buoi e mucche) sia leggero (asini e cavalli); la viabilità migliorò e fu possibile raggiungere con mezzi motorizzati le case di collina e di montagna, prima accessibili solo tramite mulattiere.
Ma l’asino non si diede per vinto: continuò a servire la poverissima economia dei montanari dell’appennino, vuoi per la legna nei boschi vuoi per la raccolta delle castagne. Si accontentava di pochissimo, sia quanto a cibo sia quanto a ricovero. Veniamo al nuovo secolo.
Giunse un giorno in cui la Regione Emilia-Romagna e le APA decisero che era arrivato il momento di censirlo, per capire se la strada del suo recupero fosse ancora possibile o ormai una chimera. La difesa della biodiversità era alla base di questa ricerca. Trovarono i 76 capi di cui abbiamo detto.
Lungo e indaginoso fu l’iter amministrativo per il nuovo riconoscimento a razza.
Il 21 Giugno 2005 la Commissione ministeriale di Roma diede il via libera.
Gerardo Salza, relatore a nome della Regione, aveva superato l’esame di “riammissione”, dopo un primo tentativo (per la verità) fallito, nel 2003, “per insufficienza di prove bibliografiche e genetiche a supporto”.
Del “nuovo inizio” ne scrissero i giornali e ne parlò pure il TG3 dell’Emilia-Romagna.

In Febbraio 2006 fu pubblicato il Decreto Ministeriale. L’Asino Romagnolo, dunque, venne nuovamente riconosciuto a razza autoctona. Da lì ricomincia un processo allevatoriale sistematico, che ha conosciuto il 16 e 17 Giugno scorsi, durante la seconda edizione della Fiera del Santerno di Imola, una tappa importante. Infatti la Rassegna di Razza organizzata a Imola dall’Assessorato all’Agricoltura del Comune, che ha visto la partecipazione di circa trenta soggetti (tra i più prestigiosi), ha confermato che il processo allevatoriale gode di buona salute in Regione. Undici gli allevatori rappresentati, provenienti da Verrucchio, da Alfero, da Bagno di Romagna, da Civitella di Romagna, da Castrocaro Terme, da Casola Valsenio, da Castel Bolognese, da Casola Canina, da Ravenna, da Alfonsine, da Palesio (San Lazzaro), i luoghi antichi della tradizione autoctona, delle Province di Rimini, Forlì-Cesena, Ravenna, Bologna.

Divisi in sei categorie, i soggetti presentati hanno fatto bella mostra di sè, catalizzando l’attenzione della Fiera, sfoggiando mantello baio o sorcino, riga mulina con croce scapolare di Sant’Andrea, orlatura scura delle orecchie, musello e ventre chiaro, tracce di zebratura agli arti. Proprio come prescrive il severo disciplinare morfologico della razza. Animali bellissimi, molto tipici e uniformi, docili, empatici, ben presentati.
Folla permanente di famiglie e di bambini allo stand, carezze dei più piccoli agli asinelli più piccoli.

Grandissimo successo della manifestazione, con oltre 16.000 visitatori.
Il giudice esperto di Razza, Giovanni Verlicchi, designato dall’Associazione Italiana Allevatori di Roma, ha avuto il compito di confrontare gli animali tra di loro, per sottolineare, di ognuno, le caratteristiche che meglio corrispondono al  disciplinare.
Pranzo con le specialità gastronomiche romagnole, e targa ricordo per tutti gli allevatori.

Un pubblico attento ha assistito alla Rassegna morfologica.

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